Le tante facce del detector BSE

Introduzione

Nel Microscopio Elettronico a Scansione, il fascio elettronico, generato dalla sorgente ed accelerato attraverso la colonna, giunge sul campione e ne scansiona la superficie. In ogni punto della scansione, l’interazione tra elettroni e materia produce dei segnali che vengono sfruttati dai detector presenti nel SEM per generare le immagini o effettuare analisi elementali.

I segnali più spesso utilizzati sono quello degli elettroni secondari (SE), quello degli elettroni retrodiffusi, o back-scattered (BSE), e quello dei raggi X.

Poiché gli elettroni secondari provengono da una zona più superficiale del campione rispetto agli elettroni retrodiffusi che sono generati in un volume di interazione più ampio, tendenzialmente le immagini per la caratterizzazione morfologica vengono acquisite con il detector SE. Tuttavia, i più recenti detector BSE sono ormai in grado di fornire immagini ad altissima risoluzione e con un elevato dettaglio morfologico, grazie ad una sensibilità migliorata che permette di lavorare anche alle basse tensioni di accelerazione, e ad una efficace pre-amplificazione che riduce il rumore e massimizza la velocità di risposta del sensore. Grazie al suo principio di funzionamento, il detector BSE può dare grandi soddisfazioni e riservare interessanti sorprese.

1. Come funziona

Gli elettroni retrodiffusi (BSE) sono la conseguenza di un’interazione elastica tra gli elettroni del fascio e i nuclei degli atomi costituenti il campione.

Per raccogliere e rivelare questo tipo di elettroni, si utilizza un detector costituito da un dispositivo semiconduttore, e nello specifico un fotodiodo di tipo P-I-N: quando gli elettroni retrodiffusi entrano nel rivelatore, vengono generate coppie elettrone-lacuna nello strato “I” e le coppie vengono separate in elettroni liberi e lacune libere. Quando viene applicata una tensione tra lo strato “P” e lo strato “N”, gli elettroni liberi fluiscono verso lo strato “N” mentre le lacune libere scorrono verso lo strato “P”. Amplificando la corrente elettrica dovuta al flusso degli elettroni liberi e delle lacune libere nei diversi segmenti del detector, si forma l’immagine elettronica BSE.

Fig. 2 – Principio di funzionamento del detector BSE.

Il detector può essere costituito da 2, 3, 4 o più settori ed è di norma posizionato “a ciambella” intorno al fascio elettronico, sotto alla lente obiettivo, in modo da intercettare gli elettroni retrodiffusi che hanno un angolo di take-off vicino a 90° (al contrario degli elettroni secondari che hanno generalmente un angolo di take-off di circa 30°).

A seconda di come vengono combinati i segnali in uscita dai vari settori, è possibile ottenere un contrasto che metta in evidenza la composizione chimica (modalità “COMPO”) oppure la topografia (modalità “TOPO”).

Figg. 3-4 – Detector BSE a 4 settori montato sotto al pezzo polare della colonna del SEM. In foto detector BSE Point Electronic.

Figg. 5-6 – Detector BSE Premium a 4 settori e ad alta risoluzione, con meccanismo retraibile. In foto BSE Point Electronic

2. Contrasto Composizionale

Le immagini BSE maggiormente utilizzate nelle analisi al SEM sono quelle in cui la scala di grigi è funzione della composizione chimica del campione. Le zone più scure corrispondono ad elementi più leggeri (peso atomico più basso), quelle più chiare ad elementi a peso atomico maggiore (che restituiscono più segnale). Questo tipo di immagine si ottiene sommando tutti i segnali provenienti dai diversi settori di cui è costituito il detector.

In queste immagini diventa facile individuare ad esempio contaminazioni da packaging in plastica (carbonio) che appariranno di colore scuro su una matrice di metallo (di peso atomico maggiore del carbonio e dunque resa con un grigio più chiaro) (Fig. 7), o viceversa contaminazioni da metalli che appariranno bianche su una matrice in ceramica costituita da elementi più leggeri (per lo più silicio) che resterà di un grigio più scuro (Fig. 8).

Fig. 7 (sx) – Immagine BSE acquisita a 15 kV sulle spire di un perno di un impianto dentale prodotto in lega di titanio. Visibili in colore nero le contaminazioni da carbonio.
Fig. 8 (dx) – Immagine BSE acquisita su campione in sezione di piastrella in ceramica. In evidenza sul bordo di un difetto una contaminazione da particelle di origine metallica (Sn, Cu e Zn).

I moderni SEM permettono di mixare il segnale degli elettroni BSE con il segnale degli elettroni SE per diversi scopi: la funzione “Channel Mixer” del Custom SEM, ad esempio, permette di sottrarre o sommare in Live i segnali evitando così che il contrasto morfologico venga viziato dalla componente chimica portata dagli elettroni retrodiffusi che inevitabilmente impattano sul detector SE (ETD); la modalità “Merge” di Coxem consente invece di sovrapporre le due immagini SE e BSE in modo da poter apprezzare sia i dettagli morfologici che l’informazione composizionale.

Fig. 9 – Titanio ricoperto con ossidi metallici. Nella prima immagine (SE) si apprezza la morfologia del coating; nella seconda immagine (BSE) si distinguono in bianco i cristalli del metallo con peso atomico maggiore. La terza immagine è stata ottenuta con la funzione Merge SE+BSE.

3. Contrasto Topografico

Se invece che sommare i segnali di tutti i settori, immaginiamo di dividere esattamente a metà il detector e sottraiamo i segnali di una coppia di settori (array I) all’altra (array II), si ottiene un contrasto di tipo topografico (Fig. 10).

Fig. 10 – Rappresentazione schematica delle due diverse modalità di imaging con il detector BSE: a sinistra la somma dei segnali genera il contrasto composizionale, a destra la sottrazione dei segnali genera il contrasto topografico [1].

Poiché i pattern generati dalla composizione chimica non variano in modo significativo da settore a settore, eventuali differenze di segnale rilevate dai due array sono dovute unicamente alle caratteristiche topografiche che influenzano le traiettorie degli elettroni BSE. Ad esempio, nelle immagini generate dai settori del detector posizionati sulla sinistra del campione, le superfici che sono inclinate a destra appaiono come ombre, viceversa per le immagini generate dai settori posizionati sulla destra. Le prime immagini sono chiamate “left-illuminated shadow”, mentre le seconde “right-illuminated shadow”, tenendo presente che l’illuminazione in questo caso si riferisce alla direzione del rivelatore, e non alla sorgente del fascio di elettroni.

La somma dei segnali provenienti da entrambi gli array mitiga gli effetti topografici “illuminando” il campione da entrambi i lati, restituendo immagini con un basso contrasto topografico e un elevato contrasto composizionale.

Ma se invece i segnali vengono sottratti, il risultato è quello di accentuare i pattern topografici. Avendo a disposizione 4 settori, aumentano i dettagli topografici che possono essere rivelati, poiché aumentano le differenti direzioni di “illuminazione” nell’immagine (destra/sinistra, alto/basso).

Le immagini acquisite in modalità TOPO possono fornire informazioni utili nella caratterizzazione di campioni con porosità o altre particolari topografie superficiali (Fig. 11). 

Fig. 11 – Immagini acquisite con detector BSE in modalità COMPO (sx) e TOPO (dx) su campioni di piastrelle con diversa porosità, trattate con due diverse tipologie di stucco che ha riempito in maniera più o meno efficiente i pori presenti: si veda come nel campione C i pori appaiano più profondi rispetto al campione D.

Solitamente i SEM offrono anche la possibilità di “accendere” un solo settore per volta del detector BSE, mantenendo “spenti” tutti gli altri: questo consente di osservare un oggetto come se fosse illuminato da un singolo lato dell’immagine. A parità di composizione chimica del campione e di regolazione del segnale (gain e offset), si generano ombre nell’immagine che appaiono più o meno scure in funzione dell’altezza dei vari particolari che costituiscono l’oggetto. Combinando le informazioni ottenute da ogni singolo settore, diventa così possibile ricostruire la tridimensionalità dell’oggetto che si sta osservando in 2D.

4. Ricostruzione 3D “Shape-from-Shading

L’approccio metrologicamente più accurato alla ricostruzione 3D delle caratteristiche superficiali è la stereofotogrammetria (o metodo “Shape-from-Motion”). Questa tecnica richiede due immagini SEM dello stesso oggetto prese a due diversi angoli di tilt. Le informazioni sull’altezza vengono calcolate trigonometricamente. Pur influenzato dalle condizioni sperimentali di acquisizione, il metodo fornisce valori accurati. Tuttavia, il suo svantaggio è che richiede l’inclinazione del campione e l’acquisizione di due immagini successive della stessa area, il che potrebbe non essere sempre facile per l’operatore.

L’alternativa più comune alla stereofotogrammetria è la riflettometria (o metodo “Shape-from-Shading”). La ricostruzione 3D in questo caso è ottenuta con una sola scansione, poiché le quattro immagini necessarie vengono acquisite contemporaneamente con il detector BSE a 4 quadranti.

Per valutare la pendenza in una direzione (ad esempio ovest-est), vengono utilizzati due settori opposti. È proprio il segnale differenziale tra le due parti del rivelatore che permette di distinguere una zona più scura da una pendenza e quindi calcolare correttamente la pendenza, poiché se l’oggetto è localmente più scuro o più luminoso, entrambi i settori lo vedono allo stesso modo.

Una volta riconosciute correttamente le pendenze in entrambe le direzioni, è possibile integrarle nella topografia della superficie e produrre immagini 3D molto fedeli.

Fig. 12 – Dettaglio di una moneta da 1 euro scansionata utilizzando un detector BSE a 4 quadranti. A destra: ricostruzione 3D utilizzando il software MountainsSEM®.

5. Smart Segmentation e Particle Analysis

Il contrasto composizionale nelle immagini BSE può essere sfruttato per riconoscere, analizzare e classificare per forma e dimensioni particelle, fibre e altri oggetti nell’immagine (Particle Analysis), grazie all’utilizzo di software basati su Machine Learning. I dati calcolati possono essere riportati in tabelle facilmente esportabili in Excel ed elaborati in grafici e istogrammi per uno studio più approfondito del campione (es. numero di particelle/mm2, % di copertura, diametro medio fibre, ecc.).

L’analisi si basa sul rapporto sinergico fra l’operatore e il software: il tecnico del SEM acquisisce un’immagine calibrata utilizzando la scale bar, seleziona una regione di interesse (ROI) e istruisce il software tramite l’attribuzione oggetto/background, definendo inoltre le possibili classi di oggetti. In seconda istanza il software esegue la segmentazione: assegna i pixel nell’immagine distinguendo gli oggetti dallo sfondo e gli uni dagli altri tramite l’identificazione dei loro bordi; infine misura e classifica gli oggetti rilevati.

In questo caso l’immagine acquisita con detector BSE in modalità COMPO risulta la più adatta allo scopo, poiché facilita la corretta identificazione dei bordi da parte del software: l’immagine BSE appare infatti più “piatta” rispetto alla corrispondente immagine acquisita con gli elettroni secondari, e risente meno degli effetti di carica dovuti ad esempio alla morfologia della superficie (spigoli, crepe). La regolazione di luminosità, contrasto e gamma va eseguita in modo tale da ampliare il range dei grigi per mettere in evidenza le differenze di composizione negli oggetti presenti nell’immagine (contrasto composizionale).

La segmentazione può essere eseguita dopo aver definito una o più soglie nel range della scala dei grigi (Threshold Tool), oppure istruendo il software a riconoscere e separare i bordi degli oggetti (Smart Segmentation), applicando degli opportuni filtri morfologici ed eventuali correzioni del background, definendo inoltre le diverse classi in cui gli oggetti vanno collocati. Contestualmente alla classificazione, il software è anche in grado di misurare tutti i parametri geometrici desiderati (es. diametro, area, rapporto di forma, ecc.), al fine di descrivere o tutti gli oggetti presenti nella ROI analizzata, oppure solo quelli assegnati ad una determinata classe.

Fig. 13 – Segmentazione eseguita con il Threshold Tool impostando 4 diversi range abbinati ad altrettante classi di oggetti.

Fig. 14 – Segmentazione Smart eseguita definendo il background e assegnando 3 oggetti a 3 diverse classi.

6. Electron Channeling Contrast Imaging (ECCI)

La tecnica ECCI (Electron Channeling Contrast Imaging) utilizza l’effetto channeling degli elettroni nei piani del reticolo cristallografico. Il contrasto nelle immagini è dato dall’orientamento cristallografico del reticolo all’interno di ciascun grano e può essere utilizzato per fornire una rapida panoramica della microstruttura prima delle analisi EBSD (Electron Back-Scattered Diffraction).

Se il reticolo cristallino è orientato opportunamente rispetto al fascio di elettroni, le immagini ECCI possono essere utilizzate per visualizzare e caratterizzare le singole dislocazioni nel campione, fornendo così informazioni sui piani di scorrimento e sui meccanismi associati alla deformazione.

Sebbene “ECCI” sia un termine relativamente nuovo, l’uso di elettroni retrodiffusi per visualizzare i contrasti cristallografici nei campioni è stato utilizzato per molti decenni. Negli anni ’70 e ’80, i modelli di channeling degli elettroni (ECP) furono utilizzati per l’analisi cristallografica di campioni geologici e nello studio dei materiali al SEM [2]. Quando l’EBSD divenne una tecnica consolidata negli anni ’90, i ricercatori iniziarono a utilizzare rivelatori di elettroni retrodiffusi (BSE) montati sotto i campioni molto inclinati richiesti per le analisi EBSD; questi rivelatori “forward scatter” o “forescatter” generavano anche immagini basate sul channeling di elettroni nei piani del reticolo cristallino, dando origine ad immagini in contrasto di orientamento.

Poiché la relazione tra il fascio di elettroni incidente e gli orientamenti del reticolo cristallino varia (ad esempio tra grani con orientamenti diversi), l’intensità degli elettroni retrodiffusi varierà anch’essa, generando così un’immagine con diversi livelli di scala di grigi per diversi grani, come mostrato nelle Figg. 15-16, acquisite rispettivamente su campione di Oro (reticolo FCC) e di Tungsteno (reticolo BCC).

Figg. 15-16 – Immagini ECCI acquisite con detector BSE su campione di oro bianco lucidato (sx) e su campione di tungsteno sottoposto a circa 300h di etching sulla superficie (dx). Riconoscibili i grani con diversa orientazione: la diversa disposizione degli atomi nel piano cristallino porta a differenze di “densità” tra un grano e l’altro e dunque a una diversa resa nella scala dei grigi.

Se il campione è orientato in modo che, per un grano specifico, l’orientamento del reticolo cristallino soddisfi la cosiddetta condizione di diffrazione a due raggi, qualsiasi piccolo cambiamento nell’orientamento del reticolo (ad esempio causato dalla presenza di dislocazioni individuali) comporta cambiamenti significativi nell’intensità dei BSE. Pertanto le dislocazioni appariranno con una notevole differenza di contrasto rispetto al grano ospite (si veda ad esempio la dislocazione in alto a destra in Fig. 16).

L’ECCI è una tecnica molto potente, con il vantaggio significativo (rispetto agli equivalenti approcci con il microscopio elettronico a trasmissione) che può essere applicata a campioni bulk con solo una superficie libera e fornisce dati da un’area molto più ampia del campione. Tuttavia, ottenere una caratterizzazione dettagliata delle dislocazioni può richiedere molto tempo, inoltre l’ECCI necessita di una buona preparazione della superficie, in certi casi di qualità altrettanto elevata rispetto a quella richiesta per le analisi EBSD.

Fig. 17 – Piani di scorrimento del reticolo BCC (6 piani x 2 direzioni = 12 sistemi).
Fig. 18 – Il diverso impacchettamento degli atomi nei reticoli BCC e FCC comporta una diversa energia richiesta per lo scorrimento dei piani, e dunque una diversa duttilità dei materiali.

Le informazioni raccolte con questa tecnica al SEM possono essere sfruttate nello studio dei materiali e correlate con le proprietà fisiche e meccaniche. Le diverse strutture reticolari (FCC, BCC, HCP, ecc.) hanno infatti ciascuna dei sistemi di scorrimento diversi sia in numero che come meccanismo, e riuscire ad avere una panoramica della microstruttura cristallina del proprio materiale può essere molto d’aiuto.

Queste differenze costituiscono il principale motivo per cui i metalli possono deformarsi in misura diversa a seconda del tipo di reticolo. Metalli come magnesio, cobalto, zinco o titanio difficilmente possono subire deformazione plastica in condizioni normali, preferiscono la rottura. Tutti questi metalli hanno in comune il fatto di possedere una struttura reticolare esagonale più compatta (reticolo HCP) che offre solo pochi sistemi di scorrimento. Al contrario, metalli come alluminio, piombo, oro, rame e nichel hanno un’ottima deformabilità. Ciò è dovuto alla loro struttura cubica a facce centrate (reticolo FCC), che offre numerosi sistemi di scorrimento (4 piani x 3 direzioni). La duttilità del reticolo cubico a corpo centrato (reticolo BCC), pur avendo lo stesso numero di sistemi di scorrimento del reticolo FCC, presenta piani meno compatti e si colloca a metà strada tra i tipi di reticolo sopra menzionati. Rappresentanti tipici di questa struttura sono metalli come ferro, cromo, molibdeno, tungsteno e vanadio.

7. BEX: BSE imaging e analisi chimica EDS con un unico detector

Se da un lato è vero che la teoria che sta dietro al funzionamento dei rivelatori di cui è dotato un SEM è ormai conosciuta e assodata, è anche vero che la tecnologia non si ferma mai: il nuovo detector Unity di Oxford combina in un unico detector due sensori per raggi X (EDS) e due sensori BSE (Fig. 19).

Fig. 19 – Il detector Unity di Oxford combina BSE e EDS in unico detector.

I vantaggi di un setup di questo tipo, in cui EDS e BSE si trovano sullo stesso piano, posti immediatamente al di sotto del pezzo polare, sono molteplici:

  • Analisi ad alte prestazioni: a differenza dei rivelatori BSE convenzionali, i sensori BSE Unity hanno una forma ottimizzata per massimizzare la raccolta del segnale e sono raffreddati tramite Peltier per una maggiore sensibilità.
  • Working distance flessibile: a differenza dei detector EDS convenzionali che lavorano ad una specifica WD (distanza che ottimizza la raccolta dei raggi X, ma che spesso non è la distanza migliore alla quale salvare un’immagine ad alta risoluzione), nel detector Unity la posizione operativa dei sensori e l’ampio angolo solido di raccolta consentono di acquisire dati chimici coerenti in un ampio intervallo di distanze di lavoro (> 6 mm).
  • Analisi topografica avanzata: i due sensori BSE possono essere configurati in modalità TOPO, consentendo di enfatizzare la topografia del campione anziché la composizione chimica. Grazie alla particolare configurazione del detector, i due sensori per raggi X sono inoltre in grado di fornire informazioni provenienti anche da una topografia difficile del campione, come ad esempio avvallamenti profondi che normalmente non darebbero luogo ad alcun segnale a causa dell’ombreggiamento (Fig. 21).
  • Ampio campo di vista: la forma e la posizione del rivelatore sono progettate per consentire di condurre analisi anche a bassissimo ingrandimento e in modalità Wide Field.
  • Possibilità di lavorare a pressione variabile su campioni non conduttivi, grazie al sensore di pressione integrato che gestisce in maniera automatica il sistema di raffreddamento del detector.
  • Velocità di analisi: con un unico detector è possibile acquisire in modalità Live spostandosi sul campione e ottenere in tempo reale sia l’immagine BSE che l’informazione di tipo chimico proveniente dall’EDS.

Fig. 20 – Esempio di analisi combinata BSE-EDS: in un unico passaggio si ottengono informazioni sia morfologiche che chimiche.

Fig. 21 – La particolare configurazione del detector Unity permette di raccogliere il segnale anche da porzioni del campione normalmente difficili da raggiungere.

Bibliografia

[1] PALAIOS, 30 (6): 462–481 (2015). doi: https://doi.org/10.2110/palo.2014.09

[2] Journal of Applied Physics 53, R81 (1982); doi: 10.1063/1.331668

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